Arabia Felix
FABIO FALABELLARenzi, Salman e il pericolo scampato del Jobs Act
Per gli antichi Greci era Eudamonia, la terra esotica e mitologica corrispondente alle regioni più meridionali della penisola che fu la culla delle civiltà. I Latini, invece, la chiamano Arabia Felix, a volerne sottolineare la bellezza, la fertilità di spazi quasi incontaminati che si estendevano dal deserto al mare, ricchi di oasi rigogliose e generose dove gli uomini trovavano riparo e beatitudine e i cammelli delle carovane potevano riposare e ristorarsi dopo traversate chilometriche. Per il leader di Italia Viva Matteo Renzi, altresì, quella superficie che corrisponde, oggi, al regno del regime islamico sunnita della dinastia Saudita, wahhabita, reazionario ed oscurantista sarebbe la patria di un nuovo Rinascimento, deputata ad emulare e, perché no, superare in ingegno e bellezza il Cinquecento nostrano che trova in Giotto i suoi prodromi ed affonda le radici nel dolce stil novo toscano di Dante, Cavalcanti e Guinizelli. Del resto, “addo’ c’è gusto nun c’è perdenza”, chiosava magistralmente l’ineguagliabile Eduardo De Filippo, e pare che il senatore di origini toscane il suo tornaconto favorevole lo abbia trovato proprio a Riad, nella città capitale dell’Arabia Saudita, dove probabilmente il consenso personale di cui gode è ben maggiore del misero 2-2,5% che i sondaggisti più scrupolosi accreditano in Italia al suo movimento politico. Il fatto è che il buon Matteo, quello cattivo è l’altro, il lombardo, nel pieno della crisi politica ed istituzionale da lui perseguita e scatenata, che ha portato alla caduta del governo Conte bis, con le consultazioni del Presidente della Camera Roberto Fico ancora in corso fino al prossimo martedì, ha pensato bene nei giorni scorsi di partecipare ad un appuntamento organizzato dalla Future Investment Initiative, una fondazione che è diretta emanazione dell’apparato di potere omicida e teocratico guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman, nel cui board Renzi siede stabilmente a fronte di compensi mica da poco, seppur paragonati agli emolumenti che riscuote dai cittadini italiani in qualità di parlamentare della Repubblica. La vicenda ha scatenato un putiferio, ma l’istrionico Matteo, con la consueta gaglioffaggine che lo connatura e contraddistingue segnandone la cifra personale e pubblica, si è difeso, di fronte alle critiche ed alle accuse di chi ha sottolineato l’inopportunità della visita, per un cachet che varia a seconda delle stime dagli 80.000 ai 140.000 euro con incluso il viaggio aereo, sostenendo che si è trattato di una conferenza già programmata ed alla stregua delle tante tenute da lui stesso in giro per il mondo, così come fanno gli ex presidenti ed i primi ministri di tanti Stati occidentali. Senza indugiare in questa sede sulla preoccupante coincidenza per cui nelle settimane passate lo stesso Renzi ha più volte richiesto per sé a Conte, prima di fargli lo sgambetto sorridente proferendo un fatidico “Giuseppe stai sereno”, la delega ai servizi segreti che sarebbe quantomeno inopportuna considerate le sue relazioni internazionali, ci piace e preme eccepire nondimeno alcune questioni alle sue sconcertanti affermazioni, alcune delle quali reiterate anche stamattina in un articolo apparso sul Corriere della Sera con tanto di richiamo in prima pagina. Innanzitutto, ciascuno dei politici menzionati e presi ad esempio dal leader di Italia Viva prendono parte ad iniziative di questo tipo solo una volta terminato il loro mandato nei diversi Paesi di provenienza, ché negli Stati Uniti sarebbe addirittura vietato perché ritenuto illegale e fonte evidente ed inaccettabile di palese e preoccupante conflitto di interessi. In secondo luogo, non di conferenza si è trattato, ma di una intervista senza contraddittorio di quindici minuti, registrata e poi andata in onda sulle reti controllate dal regime saudita, fatta dal nostro al principe Salman, evidentemente gratificato dopo aver firmato il sostanzioso bonifico in suo favore, dalla eloquente e spudorata ovazione tributatagli a favor di telecamera da colui che fu, come gli piace ripetere, il sindaco di Firenze. Tertium, va ribadito, per chi non ne fosse a conoscenza, che in Arabia Saudita vige la pena di morte e la struttura dello Stato si regge su di una società rigidamente classista che neppure le caste in India prima di Gandhi e dell’indipendenza dall’Impero Britannico. Quarto e infine, ciò che più interessa a mio avviso in rapporto con quanto accade in Italia e con quanto auspicato da Renzi, che si è detto geloso, invidioso, del mercato del lavoro vigente a Riad, va ricordato e contestato all’inventore degli 80 euro e del Jobs Act che in Arabia Saudita circa il 75% delle donne è escluso da qualsiasi forma di occupazione, in gran parte a loro vietate per legge, che la produzione si basa su una divisione razzista tra autoctoni e stranieri, immigrati dai Paesi limitrofi sovente senza passaporto, tenuti in schiavitù e soggetti ad ogni forma di angheria, ricatto e sfruttamento da parte di padroni e caporali criminali e conniventi col principato, per cui un lavoratore non cittadino percepisce un quinto di quanto concesso per le stesse mansioni agli indigeni. Senza dimenticare il tasso spaventoso di disoccupazione giovanile, l’assenza assolta di sindacati, le violenze perpetrate tra le mura domestiche o per le strade nei confronti delle mogli considerate fedifraghe, frustate ed esposte al ludibrio maschile e talora alla lapidazione, la guerra pluriennale a bassa intensità condotta nello Yemen, che ha causato centinaia di migliaia di profughi e la morte sconsiderata di migliaia di bambini fatti esplodere dalle bombe fabbricate in Occidente, anche alle nostre latitudini. E senza scordarsi neppure della libertà di stampa assolutamente negata e di Jamal Khashoggi, giornalista indipendente ed inviso al regime, ucciso e letteralmente fatto a pezzi nell’ambasciata saudita in Turchia, da cui è uscito in due valigie come nei peggiori film noir che raccontano di serial killer quali il principe Mohammed Salman ed i suoi avi e predecessori. Si dirà, lo ha sostenuto lo stesso Renzi, che l’Arabia Saudita è un nostro partner importante per ragioni di interesse economico ed una delle pedine strategiche di cui tenere conto nello scacchiere mediorientale: vero, ma ciò giustificherebbe, al massimo e fino ad un certo punto, la partecipazione ad un impegno di natura istituzionale, come la visita di un Ministro degli Esteri, non certo una sortita quale quella oggetto di questo editoriale. Giova pensare di essere stati fortunati, noialtri, a non esperire tutto questo ben di Dio, o di Allah, ed essere rimasti nel nostro Medio Evo fatto di diritti, concertazione, tutela degli individue e salvaguardia delle libertà costituzionalmente garantite e non concesse dal magnanimo sovrano in turbante. Se l’orizzonte immaginifico idealizzato e desiderato da Renzi, abbozzato sul tema specifico proprio col Jobs Act, è di tal guisa, grazie al “No” al Referendum da questi promosso, l’abbiamo scampata bella. E che il Signore, comunque lo si chiami, per preghiera laica, ce ne scansi e liberi! Una volta per tutte, magari.