Dalle Alpi agli Appennini
FABIO FALABELLASogin, Somalia e la soluzione per lo smaltimento delle scorie nucleari
Si potrebbe affidare la logistica alla ‘Ndrangheta, che in termini di trasporti, si sa, è imbattibile, forse pure meglio di Amazon per lo stoccaggio delle merci: ha conquistato quote di mercato in tutto il mondo (si occupa, ad esempio, del dragaggio dell’oro e della commercializzazione del prezioso metallo trafugato agli Indios nei fiumi dell’Amazzonia) ed ha praticamente unificato l’Italia, lungi dal poter, pur volendo e se non in parte, tributare questo merito alla Lingua del Manzoni o al compito assolto dalla televisione, essendo presente ormai in ogni angolo del Belpaese, come dimostrano i numerosi e ripetuti scioglimenti di consigli comunali e le decine di inchieste giudiziarie per associazione mafiosa dalla Lombardia al Veneto, dalla Valle d’Aosta al Trentino Alto Adige. Una intensa ed approfondita attività preliminare ed imprescindibile di corruzione delle élite di Mogadiscio, sulla scorta dei più lungimiranti esempi in tal senso delle politiche coloniali, post coloniali e neo-coloniali, ovviamente, sarebbe necessaria, per oliare bene i meccanismi del business e far sì che l’attività di trasferimento funzioni alla perfezione. Si dovrebbe solo aver cura di tener lontani il più possibile ficcanaso impudenti alla stregua della giornalista Ilaria Alpi, assassinata il 2 marzo del 1994 proprio a Mogadiscio insieme con il suo collega, il fotoreporter croato Miran Hrovatin, perché stava indagando su un traffico del genere che vedeva coinvolti, probabilmente, massoneria, alte schiere del nostro Esercito, affaristi e gruppi criminali locali e stranieri. E poi, a proposito del dibattito scatenato dalla decisione del governo Conte, attraverso l’approvazione concessa dal Ministero dello Sviluppo e dell’Ambente alla Sogin (società statale responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi), di presentare per l’ennesima volta il piano di deposito delle scorie nucleari individuando appositi siti da nord a sud della penisola, il problema sarebbe risolto. Niente manifestazioni sul modello di quanto avvenne in Basilicata a Scanzano Jonico nel novembre del 2003; niente “comitatini” di cittadini, forse, e ad eccezione di qualche militare contaminato, come dopo i bombardamenti all’uranio radioattivo sulla ex Jugoslavia durante la guerra del Kosovo, che lì ne abbiamo smaltito un bel po’, per fortuna; neppure effetti collaterali rilevanti, riservati in questo caso ai cittadini somali ed esternalizzati sapientemente nel Continente Nero, un po’ più a settentrione del Kilimangiaro, in realtà. Sarcasmo, satira ed amara ironia a parte, il problema è complicato, scottante, inquinante e cogente: i rifiuti di qualsiasi genere, quelli ingombranti, quelli speciali, quelli industriali e quelli nucleari, come nel caso di specie, sono un problema intrinseco e strutturale della società capitalistisca globalizzata in cui viviamo, basata sul consumo e sulla continua distruzione dei beni. Decine di casi di studio, fondamentalmente localizzati nei Paesi poveri e nell’emisfero meridionale del globo, stanno ad attestare questa affermazione: si pensi alle discariche in cui si smaltiscono i materiali elettronici o alla baia in India in cui vengono smontate pezzo per pezzo e distrutte le vecchie navi messe alla fonda, solitamente da bambini sfruttati e comunque da una umanità lasciata ai margini dei processi di produzione e della divisione internazionale del mercato del lavoro, gerarchica e sessista, costretta per pochi euro o dollari a settimana a morire lo stesso cercando di sopravvivere per quel famoso tozzo di pane tanto caro ai migranti di casa nostra che un tempo attraversavano l’Oceano in cerca di fortuna. La formula “not in my backyard”, che tradotto letteralmente dall’Inglese significa non nel mio giardino, e per giardino s’intende non quello di ingresso in casa con garage ma quello retrostante, più privato e curato, col prato verde rasato basso e cespugli di fiori qua e là in un’ambientazione scenografica da film, non funziona, sebbene sia stata coniata ed utilizzata nel tempo da vari movimenti di lotta in giro per il mondo per opporsi alla installazione di una centrale o alla costruzione di una fabbrica di materiali pericolosi: sia d’esempio quanto accaduto in Italia negli anni Novanta e Duemila per quanto riguarda la realizzazione di impianti destinati a fungere da inceneritori. Alla luce di questa riflessione e “sic rebus stantibus”, ovverosia dal Latino stanti così le cose, a queste condizioni e considerati questi assunti, credo che una soluzione per rispettare l’ambiente tendendo conto delle esigenze di sicurezza nazionale e di tutela della salute dei cittadini davvero non ci sia, alle nostre come ad altre latitudini. E, pertanto, con buona pace di Ilaria e Milan, le scorie nucleari non resta che mandarle in Somalia.