Descamisados e pochette
FABIO FALABELLAGrillo è vivo e lotta insieme noi!
Secondo il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, se i Cinquestelle perdessero il radicalismo legalitario, ecologista ed intransigente proprio delle origini del Movimento sarebbero condannati alla sparizione dallo scenario politico nostrano, se non addirittura all’oblio. La sua convinzione, del resto, ribadita nel corso della trasmissione televisiva “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su La 7, risulta tanto più fondata ed avveduta alla luce dell’attenzione, spesso di parte, che lo stesso giornalista ed il suo quotidiano hanno riservato da sempre, e tanto più nel corso di questa legislatura durante i governi Conte 1 e 2, ai seguaci di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Argomento non secondario a poche settimane dalla nascita dell’esecutivo Draghi, se si prende in considerazione l’affermazione di Luigi Di Maio, uno dei leader indiscussi dei “grillini”, il quale in una intervista concessa ad un altro prestigioso giornale ha dichiarato con sollievo e soddisfazione, con inverosimile compiacimento direi, che i suoi sono finalmente diventati una forza liberale e moderata a vocazione governativa, capace e meritevole di gestire la cosa pubblica nel nostro Paese, pur a fronte delle piroette ideologiche determinate dai cambi delle maggioranze che hanno sostenuto e con buona pace del settarismo che li caratterizzava agli albori della loro esperienza politica: ai tempi del “Vaffa day”, per intenderci. Ha usato esattamente questi due aggettivi Luigi Di Maio, liberali e moderati, senza timore di far fischiare le orecchie ai militanti di base o di far strabuzzare gli occhi agli attivisti della prima ora, quelli duri e puri che davano vita ai meet up e che avrebbero desiderato aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Sostiene Travaglio, novello Pereira, che l’affermazione un po’ avventata di Di Maio sia dovuta alla mancanza di cultura politica di quest’ultimo, il quale avrebbe fatto confusione terminologica per mancanza di cognizione delle categorie che, un tempo, venivano studiate a menadito nelle facoltà accademiche italiane sui dizionari di scienze sociali. Attenuante solo parziale, questa, dal momento che il Luigi più famoso di Pomigliano d’Arco è pur sempre il nostro Ministro degli Esteri (sic!) e che nella sua funzione di vertice della Farnesina si appresta, quest’anno, a celebrare il novantesimo anniversario dei Patti Lateranensi e dell’Accordo di Concordato tra Stato e Chiesa, nel solco tracciato con aratro e moschetto tra le mani da Benito Mussolini e lungo la scia lasciata alcuni decenni orsono dal segretario del Partito Socialista esule ad Hammamet, Bettino Craxi. Chi doveva dirglielo, e chi avrebbe potuto e saputo profetizzarlo solo qualche anno fa anche tra i commentatori più attenti, non essendo Di Maio né tra i più preparati e neppure tra i migliori, benché scaltrissimo ed avveduto sì, della schiera dei sostenitori della presunta democrazia diretta 2.0 sostanziata nella piattaforma Rousseau, un assoluto fallimento per molti di loro. Sta di fatto che, nella tensione inesorabile tra i descamisados alla Di Battista e quelli in doppiopetto e pochette, di quelle eleganti indossate dall’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, i Cinquestelle abbiano scelto in maniera evidente e determinata la seconda opzione, che li fa classe dirigente e casta non meno ed al pari dei loro colleghi di altri partiti, Forza Italia inclusa, con cui attualmente siedono incredibilmente ma non troppo nello stesso governo. Ne sono testimonianza le espulsioni di questi ultimi giorni, che alla stregua delle più feroci repressioni staliniane del libero pensiero, e facendo carta straccia della libertà dal vincolo di mandato costituzionalmente prevista alle nostre latitudini, hanno colpito le decine di dissidenti che si sono rifiutati di votare a Mario Draghi la fiducia, mettendoli fuori dal gruppo parlamentare e persino estromettendoli tout court dal movimento. È innegabile che nei Cinquestelle sia in atto una lotta fratricida ed intestina tra opposte fazioni, che vede coinvolti anche la Casaleggio Associati e lo stesso Beppe Grillo, e che i già citati “grillini” siano al momento del redde rationem, ma spiegatene il senso e la traduzione a Di Maio. È incontestabile altresì che la parabola centripeta del movimento, utile ad assicurare il mantenimento di potere e delle vituperate poltrone ai vertici, come Di Maio & co, in spregio di quella che fu la ferrea regola del limite del doppio mandato, può lasciare di stucco in prima battuta, ma sarebbe stata per certi aspetti prevedibile, tenuto conto del qualunquismo assertivo, si veda la formula “né destra, né sinistra”, di cui gli stessi Cinquestelle si sono sempre vantati, quasi fossero unti dal Signore alla stregua del cavaliere di Arcore, e su cui hanno sapientemente e strumentalmente lucrato a fini elettorali fino a diventare la maggiore forza politica di casa nostra e la più grande rappresentata a Montecitorio e Palazzo Madama. E Grillo? Il comico redivivo che amava attraversare a nuoto lo stretto di Messina, e che oggi accetterebbe persino il ponte tra Scilla e Cariddi per accreditarsi agli occhi della lobby dei costruttori amici di Benetton, non perde occasione con i post sul suo blog personale per santificare la scelta, celebrarne la maturazione, come le fragole, e suggellare, legittimandolo, il patto d’acciaio siglato dal movimento con i poteri forti, anche a costo di sacrificare Giuseppe Conte e lasciare per strada, orfani, alcuni tra gli iscritti più brillanti, dignitosi, capaci e meritevoli, quali il senatore e già presidente della commissione antimafia, il calabrese Nicola Morra. Pecunia non olet come dicono gli Inglesi, ah, no, erano i Latini, e da noi non dispiacciono neppure le seggiole, lo dimostra l’apparente successo altrimenti inspiegabile di una nota e popolare azienda produttrice di divani. Beh, al contrario del guru Casaleggio, il visionario, che amava i discorsi e i comizi di Berlinguer, Grillo non teme l’incoerenza di cui ha fatto una virtù, neppure troppo machiavellicamente intesa, da guitto esperto dei palcoscenici dell’avanspettacolo ed assolutamente consapevole delle dinamiche distorcenti e distorte della comunicazione politica e mass-mediatica. E, al contrario di Casaleggio, Grillo è vivo e lotta insieme a noi. Insieme a loro, anzi, curandosi bene di assicurarsi qualche posto importante nelle prossime nomine delle partecipate di Stato, tirando scientemente e saggiamente i fili dei suoi burattini, come novizio Mangiafuoco, dalla sua villa di Marina di Bibbona in Toscana, a due passi dal mare. O bere o affogare e, a chi non andasse di fare capriole, non resta, come cantava Battiato, non resta che annegare, possibilmente in silenzio!