Dux mea vox
FABIO FALABELLAVietato parlare al conducente
Nel pieno della terza ondata della pandemia da Coronavirus il governo italiano guidato da Giuseppe Conte si dimena in una crisi aperta dal leader di Italia Viva ed ex Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, con una conferenza stampa tenuta qualche giorno fa a due passi da Montecitorio. A poche ore dal dibattito in aula attraverso cui la crisi stessa sarà istituzionalizzata con il passaggio parlamentare ed in attesa degli sviluppi di uno scenario in continua evoluzione e che, probabilmente, non mancherà di riservare sorprese anche al commentatore più accorto, comunque la si pensi politicamente ed al netto di un giudizio sulla questione specifica, ciò che mi preme è evidenziare proprio un tratto distintivo della conferenza stampa incriminata e, ahimè, della maniera verticistica, leaderistica e sessista di concepire la politica e l’azione sociale, nonché i rapporti personali, anche nel nostro emisfero occidentale democratico e rassicurante, salvo assalti improvvisi a Capitol Hill. In proposito, la giornalista di Rai 3 Lucia Annunziata ha parlato appropriatamente di “ostaggio dei corpi”, facendo riferimento al silenzio, alla scena muta oseremmo dire, delle ex ministre e già dimissionarie Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, in buona compagnia del fu sottosegretario Ivan Scalfarotto. Sì, perché sebbene la conferenza stampa in questione fosse stata annunciata in pompa magna proprio per comunicare ai cronisti parlamentari tempi, modi e ragioni delle dimissioni delle due ministre menzionate e benché lo stesso Matteo Renzi, in apertura, avesse annunciato di riservare per se stesso solo le argomentazioni per lasciare in un secondo momento lo spazio debito e necessario alle sue, ai suoi, compagni di partito per rispondere alle domande degli interlocutori, ciò non è avvenuto e gli spettatori delle trasmissioni in diretta sono stati costretti ad assistere alla consueta sciorinata di dichiarazioni boriose, presuntuose, pretestuose ed insussistenti fatta dal capo, dal commander in chief. Un dettaglio di poca importanza, si potrebbe pensare, se questo comportamento non disvelasse, e nel profondo, una modalità diffusa ma non per questo meno errata ed inaccettabile, ingiustificabile, di intendere, appunto, le relazioni politiche e sociali, declinate sempre più spesso e da diverso tempo a questa parte come l’azione imperativa e cogente di un singolo seguito e talora osannato, pur senza proferire parola alcuna, dalle sue truppe di seguaci e fedelissimi, da intendere forse più come tifosi, supporters e followers che come alleati in funzione da comprimari. Uno spaccato a dir poco raccapricciante e scoraggiante che non lascia ben sperare per il futuro, per lo stimolo ad una azione concertata e collettiva al fine di gestire la cosa pubblica, nel quale il comandante in capo prende per sé l’intero palcoscenico limitandosi a concedere agli altri qualche comparsata nei salotti minori o, talvolta, la possibilità di annuire e batter le mani, ché qualsiasi forma di protagonismo personale potrebbe essere letta come dissenso o pericoloso deviazionismo in stile sovietico da purga. E con buona pace di quanto sostenuto da un altro collega in un libro di qualche anno orsono, “Le donne erediteranno la terra”, in cui Cazzullo argomentava la necessità di immaginare una politica al femminile, addirittura per salvare il mondo. Se l’arte di governare è questa, pur con la soddisfazione di fotografi e telecamere per le prime pagine da copertina, direi che siamo di fronte ad una situazione estremamente desolante, povera. E, scenograficamente, aggiungo che al quadretto poco rassicurante ed edificante, irrispettoso delle stesse ex ministre, mancava solo un’insegna con su scritta la frase che si vedeva una volta sui pullman cittadini vicino al sedile dell’autista: vietato parlare al conducente, fa tutto lui da solo, pavoneggiandosi come puffo vanitoso, si basta beato da sé, magari, gli si dia pure uno specchio.