Fascisti su Marche
FABIO FALABELLADel libro di Giorgia Meloni, che dimentica reduci impresentabili, nostalgici inopportuni e massoni mafiosi e criminali
In un Paese in cui la Costituzione vieta la ricostituzione e l’apologia del partito fascista, qualsiasi atto o atteggiamento nostalgico, encomiastico e rievocativo del ventennio di Benito Mussolini al potere costituirebbe un reato, grave, un illecito di cui rispondere davanti ad un Tribunale della Repubblica. Non sembrerebbe vero, eppure è proprio il caso nostro, ovviamente, dal momento che la Carta Costituzionale prevede e compendia, per l’appunto, tale eventualità nelle Disposizioni transitorie e finali. Ciononostante, però, due eminenti esponenti delle istituzioni, entrambi appartenenti allo schieramento di Fratelli d’Italia che fa capo alla leader pasionaria Giorgia Meloni, vale a dire il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, e il sindaco di Ascoli Piceno, Marco Fioravanti, hanno pensato bene, goliardicamente, di celebrare con una cena commemorativa l’anniversario della marcia su Roma fatta dai manipoli e dagli sgherri del Duce nell’ottobre del 1922, evento che determinò la precipitazione della crisi politica in cui si dibatteva il sistema parlamentare italiano inducendo il re Vittorio Emanuele III di Savoia, spinto e sostenuto in questa decisione da altre schiere conniventi di Esercito, Polizia e rappresentanze del mondo industriale, ad affidare il potere alle camicie nere, con tutto ciò che successivamente, di tragico per il nostro ed altri popoli, ne è conseguito. E così, in barba alla satira acutissima del comico ed intellettuale Paolo Guzzanti, che in un suo celebre format di qualche anno fa, rivisitando la Storia, preannunciava lo sbarco dei fascisti su Marte, pianeta rosso infido e ribelle da soggiogare col pugnale e con la spada, dobbiamo amaramente constatare che, invece, i difensori della amata madrepatria al grido di credere, obbedire e combattere sono approdati, libro e moschetto alla mano, in centro Italia e in cento altre città e province del nostro amato, umiliato nella memoria e nella dignità vilipeso Belpaese. A dire il vero, così come profetico era stato lo sguardo illuminato ed ironico di Guzzanti, l’evento menzionato all’inizio di questo articolo risale a qualche tempo fa, meno di un paio d’anni, ma è tornato prepotentemente alla ribalta delle cronache nostrane, sollevato polemicamente da alcuni commentatori, ad esempio, nel corso di una puntata di “Otto e mezzo”, la trasmissione condotta ogni sera su La7 dalla giornalista Lilli Gruber, in concomitanza con la pubblicazione e l’uscita in libreria del primo e, si spera, ultimo capolavoro della Meloni, la sua fatica letteraria ed autobiografica intitolata “Io sono Giorgia”, sottotitolo, “Le mie radici, le mie idee”. Ora, al netto di ogni sarcastica considerazione sulla vanesia opportunità ed eleganza di scrivere una autobiografia a 44 anni, che nemmeno il compianto ed immenso Battiato scomparso di recente per approdare, lui sì, ad altri mondi più confortevoli, giusti ed umani, ci avrebbe mai pensato o si sarebbe spinto ad osare tanto, e sebbene le radici della deputata, note ed aberranti, malcelate da un conservatorismo rinnovato e posticcio tutto da dimostrare, terrorizzino e lascino sconcertati, ciò che più ci spaventa e ci preoccupa sono proprio le idee rivendicate dalla deputata, e madre, di origini romane, con un passato da babysitter e militante dei gruppi giovanili di estrema destra così diffusi e pervicaci nel tessuto cittadino capitolino. Perché, si badi bene, Giorgia Meloni è colei che voleva dichiarare guerra all’Olanda sulla questione della gestione migranti, celebre divenne un refrain mixato e passato ripetutamente a mo’ di scherno in un’altra seguitissima trasmissione televisiva; che intendeva e desidererebbe affondare le navi, o sarebbe meglio dire le carrette del mare, che giungono sulle nostre coste cariche di disperati; e che, cambiando argomento e soffermandoci per un attimo sulla visione del mondo che ha costei in merito ai diritti civili, nega rigidamente, opponendovisi strenuamente in Parlamento, la necessità dell’approvazione del Ddl Zan o di una qualsivoglia norma che tuteli le persone discriminate abitualmente per le loro scelte ed il loro orientamento sessuale. Per non parlare dell’ammirazione, nutrita dalla nostra, per personaggi del calibro di Trump e Bolsonaro, o, ancora, della vicinanza e del sodalizio che la stringono come in un patto d’acciaio al nazista impresentabile che guida l’Ungheria, altro che loggia massonica: il premier magiaro Viktor (respira vivo) Orbán, che teorizza, propugna ed applica distese di chilometri di filo spinato e soldati a difesa dei confini suoi e, afferma, nostri, di noialtri cittadini europei. Nel testo, recensisce la casa editrice Rizzoli, che ha pubblicato il libro della Meloni, Giorgia “parla per la prima volta di sé a tutto tondo – se ne sentiva la necessità, in effetti, ndr – delle sue radici, della sua infanzia, della passione viscerale per la politica che dalla sua Garbatella – un quartiere periferico della capitale – l’ha portata prima al Governo della Nazione come ministro e poi al vertice di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei”. E, ancora, “dei suoi sogni e del futuro che immagina per l’Italia e per l’Europa”, affrontando, afferma chi ne ha recensito il lavoro, “con la schiettezza e la chiarezza che la caratterizzano, temi complessi come la maternità, l’identità e la fede”, in “un racconto appassionato e appassionante, scandito nei titoli da quel tormentone – io sono Giorgia – nato per essere ironico ma divenuto – ahinoi – un manifesto identitario . Passando in rassegna “passato, presente e futuro del leader politico sul quale sono puntati gli occhi di molti, in Italia e non solo”. «Ho visto troppa gente parlare di me e delle mie idee – spiega l’autrice – per non rendermi conto di quanto io e la mia vita siamo distanti dal racconto che se ne fa. E ho deciso di aprirmi – questo sì che si chiama outing – di raccontare in prima persona – menomale che non abbia usato la terza, più aulica e supponente – chi sono, in cosa credo e come sono arrivata fin qui». Tralasciandone percorso e carriera, non indispensabili e poco agevoli per essere espletati in questa sede, delle idee e delle convinzioni della parlamentare abbiamo già accennato, ma ci piacerebbe chiederle, qualora il suo rigidissimo e blindato ufficio stampa volesse consentircelo, in cosa crede davvero, al di là degli slogan da propaganda al sapore di MinCulPop (il Ministero della cultura popolare fondato il 26 giugno del 1935 in Palazzo Balestra a Roma e guidato dal gerarca e ministro Alessandro Pavolini durante il regime fascista). E, soprattutto, ci piacerebbe chiederle come giudica i nostalgici che affollano le schiere del suo partito, a cominciare dal suo braccio destro, il senatore e padre nobile, si fa per sorridere, del suo movimento, Ignazio La Russa, che finanche di recente, nel corso di un’intervista, si affannava, con affermazioni connotate ed intrise di becero ed insostenibile revisionismo storico, in occasione del 25 aprile ultimo scorso, a fare, o a tentare di fare tutt’uno di partigiani e reduci repubblichini di Salò in quella che fu l’epopea della guerra civile, cui, tra il 1943 ed il 1945, furono costretti migliaia e probabilmente milioni di Italiani e di Italiane, quantunque senza necessariamente imbracciare un fucile, e che portò finalmente alla Liberazione dal giogo assassino nazifascista durato fin troppo. Oppure, nondimeno, ci piacerebbe conoscere, considerato che Meloni fa della legalità un vessillo, vacuo simulacro da sventolare ogni volta che le si presentì una ghiotta opportunità, se ritiene in alcun modo imbarazzanti i rapporti piuttosto stretti, consuetudinari, incestuosi e quantomeno ambigui di alcuni, non pochi, esponenti di vertice del suo partito con malavitosi appartenenti alle più disparate e sanguinarie organizzazioni criminali del nostro Paese, dai Casamonica, divenuti famosi nel Lazio, ad affiliati ‘ndranghetisti e massoni in Calabria, che hanno portato sotto la luce dei riflettori, per fortuna, inoppugnabili e sapienti inchieste giornalistiche quali quelle realizzate indefessamente dalla trasmissione “Report”, in onda su Rai 3. Ci piacerebbe saperlo, tanto più a fronte della crescita continua ed esponenziale, questo va a buon diritto considerato un merito di Giorgia Meloni, per quanto, a nostro avviso, il risultato non sia auspicabile, della crescita, dicevamo, accreditata anche dagli ultimi sondaggi al partito di Fratelli d’Italia, le cui percentuali sono oggi stimate intorno alla cifra del 19,5%, esattamente e strettamente a ridosso di quelle della Lega di Matteo Salvini, tanto da far più che ipotizzare e preludere ad una prossima battaglia nel centro destra di casa nostra, o di casa loro, per l’aggiudicazione della leadership alle prossime elezioni politiche, che Meloni vuole sia contendibile assaporando il prestigio e la comodità della poltrona di Palazzo Chigi. Un fenomeno, questo, che dimostra, con gli strumenti analitici propri delle scienze sociali, quanto una cultura di estrema destra, per certi aspetti eversiva, secondo quanto abbiamo affermato e sostenuto in capo a questo editoriale, non sia mai cessata del tutto in Italia e non sia affatto sopita, rinvigorita dai venti poderosi suscitati dalla crisi economica dovuta alla pandemia da Coronavirus e su cui soffiano abilmente personaggi improbabili come gli attivisti di Casapound, da cui Meloni e i suoi non hanno mai preso veramente le distanze, strumentalizzando in senso elettorale la morbosa ed inaccettabile contiguità con essi. Un fenomeno in trend, del resto, con quanto avviene in altri Stati del Vecchio Continente e del mondo intero: si sono evocati gli scenari di Ungheria e Brasile, dove nuovi fascismi salgono alla ribalta ed arrivano al potere apertamente, senza neppure curarsi più di celare machiavellicamente il loro volto reale e le loro intenzioni indicibili, ne sanno qualcosa gli indios dell’Amazzonia, sterminati dagli squadroni della morte degli allevatori e dei grandi proprietari terrieri prima e dal virus del Covid 19 poi, a causa degli effetti nefasti della strategia di non contenimento attuata, appunto, dal presidente negazionista Jair Bolsonaro, così simpatico ad un’altra stretta sodale di Meloni, Daniela Santanchè. Una tendenza globale, forse inarrestabile, qualora non vi si faccia fronte, politicamente e culturalmente, con un’opzione progressista, capace di tenere dentro i bisogni e le aspirazioni di lavoratori, emarginati, subalterni, delusi e sbandati, che spiega come sia possibile, qui da noi, assistere a o commentare episodi quali quello che si è riportato nell’incipit del pezzo, vale a dire di libagioni evocative del Duce e del Ventennio offerte agli dei marziali della guerra come fossimo, come fossero, in un carnevale tragicomico, travisati e travestiti da antichi centurioni romani. Nei tempi in cui la missione spaziale statunitense denominata “Perseverance”, tocca davvero il suolo marziano, nel timore che possa essere sporcato dalle orme degli stivali della soldataglia fascista del terzo millennio, ci accontenteremmo, almeno, di preservare l’integrità intellettuale e la corporea verginità di Venere: qualsiasi cosa ne pensi in merito Giorgia Meloni, augurandoci che non le venga in mente di vergare un saggio sull’argomento, infatti, la bellezza rimane donna e, nella nostra visione delle cose, coraggiosa, schierata e antifascista. E, pertanto, a mo’ di chiosa vogliamo permetterci di tributare il doveroso omaggio alla signora Laterza, anche il suo cognome è tutto un programma, la libraia di Tor Bella Monaca, altra municipalità disagiata di Roma, che si è rifiutata, nella sua libreria, di mettere in vendita il libro della Meloni. «La mia – afferma Alessandra intervistata da Fanpage – è una scelta personale, la difendo e la rivendico con molta convinzione, una scelta etica, soprattutto per le nuove generazioni». Bando ad ogni sorta di indigesto, indigeribile ed appiccicoso relativismo culturale strumentale e colpevole, da dettato costituzionale, s’intende, non possiamo e vogliamo fare altro che indirizzarle un applauso sentito e grato: chapeau!