Ogni scherzo vale
FABIO FALABELLAIl governo Arlecchino, le pezze a colore e i partiti nell’era del “caso mai”
Se non fosse una situazione tremendamente seria che sfiora la tragedia, per dirla con Mattarella, con la crisi mordente che investe i gangli vitali del nostro tessuto sociale, da quello sanitario a quello economico, si potrebbe pensare di essere di fronte ad una burlata farsesca, di quelle consentite in tempo di Carnevale, quando è permesso ogni scherzo pur se non del tutto lecito o gradevole.
Il “governo Arlecchino” guidato da Mario Draghi si è appena insediato, le foto istituzionali di rito che ancora rimbalzano tra rete e social network sono state scattate solo poche ore fa e l’apologia che ha accompagnato a livello politico e mediatico la nascita del nuovo esecutivo è tuttora in fase crescente di forcing acuto, sostanziata dal coro quasi unanime e trasversale ma del tutto dissonante di coloro che hanno inteso abbracciare il vessillo del nuovo corso, badando bene di indorare la pillola per elettori di riferimento disorientati o militanti di base delusi, sulla strada del progresso verde alla volta della transizione energetica, in tasca la patente di responsabilità, all’insegna delle magnifiche sorti e progressive tratteggiate ed evocate dal professore di Bruxelles.
Le sue virtù, intese come capacità scientifiche e tecniche sarebbero da considerare come indiscusse ed indiscutibili, lo scrivevo già nell’editoriale della scorsa settimana, pur convinto di sollevare alcune obiezioni sostanziali che sarà il caso, in questo, di ribadire, moltiplicare e rilanciare, proprio alla luce della squadra di governo che lo affiancherà nell’arduo compito affidatogli dal Capo dello Stato.
Dunque, la prima cosa che salta agli occhi alla nostra sensibilità, e per il taglio redazionale di questo giornale, è la disparità di genere marcata che insiste nell’esecutivo Draghi, cui, peraltro, va riconosciuta una certa volontà di bilanciamento basata proprio sulle competenze, dal momento che è stato il professore a volere nei ranghi alcune donne molto capaci alla guida di ministeri di tutto prestigio, scelte tra la rosa dei posti destinati ai tecnici, considerata l’incapacità o la riluttanza della classe politica nostrana, stridente da questo punto di vista il comportamento delle forze progressiste, di proporre candidature in rosa valide ed opportune che potessero essere accettate o quantomeno prese in considerazione. Eccezioni a questa prassi indigesta ed indigeribile, sono la riconferma della renziana Elena Bonetti di Italia Viva alle Pari opportunità e le nomine di Maria Stella Gelmini agli Affari regionali ed autonomie e di Maria Rosaria Carfagna per il sud e la coesione territoriale, entrambe in quota Forza Italia.
Da questa constatazione, del resto, sovviene una seconda, ineludibile riflessione: tra gli effetti collaterali del capolavoro di scienza politica ed arte del buon governo messo in atto da Matteo Renzi per far fuori Giuseppe Conte e riguadagnare le luci della ribalta, egli stesso ha sottolineato il portentoso disegno partorito e portato a termine con acume e visionaria pervicacia, c’è sicuramente la riabilitazione, l’ennesima, di Silvio Berlusconi e di ciò che resta, brandelli, di quello che fu il suo personale partito carismatico; se è vero come è vero che, prima della crisi indotta del Conte bis, la forza del Cavaliere quasi sfuggiva ai sondaggisti, sempre più affaccendati per tributarle percentuali dignitose e credibili, per eterea autodissoluzione e lo stesso anchor man di Arcore veniva poco e malvolentieri tenuto in considerazione persino dai suoi alleati di centro destra, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. In un batter d’occhio, tornato con aereo privato dall’esilio felice nella sua villa in Costa Azzurra in direzione della capitale, dove ha di recente acquistato una nuova, sontuosissima dimora, Berlusconi si è ripreso il centro della scena e l’attenzione dei commentatori, scatenando momenti di vero trasporto emozionale ed euforia tra fotografi e cineoperatori, nonché il lusso e la briga di guidare per i suoi le consultazioni, adducendo a ragione la vecchia amicizia con Draghi che lui in persona aveva voluto al vertice della Banca d’Italia, non osteggiando poi la chiamata proveniente da Francoforte alla direzione della Banca Centrale Europea.
Quanto ciò servirà al nuovo governo, quanto, alle sorti costantemente richiamate alla mente di un Paese altrimenti vituperato ogni giorno, potrà giovare la coesistenza di personaggi del calibro di Renato Brunetta, di nuovo ministro della Pubblica amministrazione, e di Roberto Speranza per Liberi e Uguali, al ministero della Salute, mi pare una buona domanda, sebbene volutamente ignorata e da più parti, una azzardata scommessa ed una cogente e stringente incognita. Sì, perché non di unità nazionale si parla, ma di becero trasformismo tipico della nostra cultura e tradizione politica dai tempi della Destra storica dell’Ottocento, reso forse necessario dal momento contingente ed apparentemente nobilitato parzialmente dalla ragion di Stato addotta da Mattarella nel suo discorso divenuto celebre pronunciato al Quirinale. Un coacervo indistinto ma evidentemente distinguibile di progetti contrastanti e interessi divergenti che costituirà un fardello, di questo sono abbastanza certo, anche per il Mario Draghi dagli universalmente riconosciuti super poteri: cosa di cui verosimilmente il professore è del tutto consapevole benché, si sa, si mangia ciò che passa il convento e il pane si fa con la farina prodotta dagli Italiani. Cionondimeno, anche alcune scelte di Draghi per comporre il suo esecutivo sembrano essere dettate dalla necessità di trovare la pezza colore per tappare qualche falla e non scontentare, Fratelli d’Italia esclusa, nessuna delle compagini che compongono al momento l’arco costituzionale e parlamentare. Bisogno parimenti avvertito, del resto, e neppure troppo celato, dai diversi, nel senso stretto del termine, partiti politici che danno luogo alla maggioranza improvvisata e rattoppata che si appresta a votare la fiducia a Montecitorio e a Palazzo Madama, i cui leader, a cominciare da Beppe Grillo e Luigi Di Maio per i Cinquestelle, non fanno mistero del tentativo di tirare ripetutamente il professore per la giacchetta intestandosi il successo di quella presunta svolta verde, la bontà di quel preciso dicastero votato all’innovazione e dalla spiccata connotazione ambientalista o l’essenzialità della tutela di quel singolo settore sociale, sia esso rappresentato dalle imprese o dal turismo, da difendere “pancia a terra” per utilizzare il lessico fuorviante e militaresco utilizzato senza imbarazzo e cognizione di causa con tanta tronfia bulimia dal segretario della Lega Matteo Salvini, divenuto d’un tratto europeista senza comunque dimenticare i sacrifici e le privazioni dei nostri concittadini diversamente abili, o presunti e giudicati tali, che tanto paiono stare a cuore al discendente dei padri fondatori del Carroccio.
A precisa richiesta in tal senso, cioè all’interrogativo postogli da un giornalista che chiedeva se credesse davvero alla svolta di Salvini, prima padano, poi sovranista e ora alfiere dei poteri forti di Bruxelles una volta tanto vituperati ed agitati ad oggetto di pubblico ludibrio, il segretario del Partito Democratico e Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, solleticato sul possibile imbarazzo che avrebbero provato i Dem a stare in squadra con l’artefice dei decreti sicurezza, che giudicava in piena guerra civile i porti libici come approdi sicuri dove rispedire le carrette del Mediterraneo cariche di migranti alla deriva, ha risposto con un lucidissimo diniego ed un’espressione che sa più di lapsus freudiano per una condizione imbarazzante e decisamente dolorosa da scarpa stretta o mal di denti, di pancia, che di diniego assertivo e perentorio in grado di sgombrare il campo dalle insinuazioni e le nubi dense dall’orizzonte politico italiano. «Caso mai, saranno altri a provare imbarazzo», ha precisato con tono neppure troppo convinto, sulle questione di merito, Zingaretti.
Ecco, appunto, nell’era in cui conta tutto ed il contrario di tutto, in una dimensione carnevalesca e da burla, in cui vale ogni scherzo della Storia, un caso mai qualsiasi come risposta sul possibile problema non secondario della tenuta del governo restituisce, a mio avviso, molto bene, precisamente ed in modo nitido, la cifra della moralità, nel senso di auspicabile rispetto di valori precipui della propria parte, della capacità strategica e della modestissima ambizione della nostra classe politica: la stessa che ha prodotto l’ennesima crisi istituzionale mostrando poi l’incapacità di una composizione parlamentare e condivisa della stessa, al netto degli ammonimenti e degli imperativi di Mattarella e delle pezze a colore per il momento escogitate quali soluzione e reperite da Draghi per approntare il vestito per la festa: il difficile verrà quando bisognerà togliersi maschera e finte parrucche, mentre, aspettando l’efficacia dei vaccini, noialtri si continuerà, forzatamente e giustamente, ad indossare la mascherina protettiva anti-Covid.