Patti chiari, amicizia lunga
FABIO FALABELLAIl Concordato tra Stato e Chiesa preso a pretesto per ostacolare la legge Zan contro discriminazioni e omofobia
Composto di 14 articoli, evocato e contenuto in nuce nell’articolo 7 della nostra Costituzione, il nuovo Concordato, chiamato anche accordo di Villa Madama, dal luogo in cui venne firmato il 18 febbraio del 1984, all’epoca del governo guidato dal Psi di Bettino Craxi, è il documento ufficiale che regola attualmente i rapporti diplomatici e non tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica. Tale documento è discendente diretto dei Patti Lateranensi, sottoscritti dall’allora Segretario di Stato Vaticano, Cardinale Pietro Gasparri, l’11 febbraio del 1929, durante il regime fascista di Benito Mussolini, che misero fine ad una disputa durata circa sessant’anni, dai tempi della breccia di Porta Pia ad opera dei regi Bersaglieri, prima dei quali formalmente non esisteva alcun rapporto reciproco e in cui affonda le radici l’antica, stringente, talora imbarazzante e asfissiante amicizia che lega indissolubilmente le due entità politiche l’un l’altra, al netto dell’efficacia della formula di libera Chiesa in libero Stato appositamente coniata e studiata sui libri e sui manuali di Storia nelle scuole di ogni ordine e grado di casa nostra. Una delle modifiche più importanti fatte negli anni Ottanta del secolo scorso fu precisamente la rimozione della clausola che definiva “religione di stato” dell’Italia la dottrina e la professione di fede cattolica, trasformando così l’ora di religione impartita settimanalmente negli istituti scolastici da obbligatoria in facoltativa, come rimane ancora oggi, benché venne introdotta la possibilità per la Chiesa cattolica di istituire in piena libertà scuole ai cui frequentanti venisse assicurato un trattamento equipollente a quello di chi frequenta gli istituti pubblici, definite, per l’appunto, scuole paritarie. E così il nuovo Concordato, affidato all’egida della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, ma ratificato dalla Santa Sede ed approvato da papa Giovanni Paolo II, da strumento utilizzato in principio dai rappresentanti della Chiesa Cattolica per ottenere dei margini di libertà ed autonomia in Paesi autoritari e/o totalitari, quali propriamente l’Italia fascista, la Germania nazista e la Spagna franchista insieme con il Portogallo nel Secondo dopoguerra, fu trasformato in un potente e più che persuasivo grimaldello utilizzato e quasi imposto a suon di “moral suasion” a numerosi Stati definiti democratici in giro per il mondo e finalizzato al mantenimento, e in certi casi al rafforzamento, di alcuni privilegi, per taluni considerati ingiustificabili, di cui la Chiesa aveva goduto nel corso dei secoli e di cui gode tutt’ora: si pensi, ad esempio, al trattamento fiscale particolare di cui beneficia in Italia e all’annosa questione irrisolta del pagamento dell’Imu da parte delle strutture cattoliche che, al pari di altre attività private, offrono servizi di natura alberghiera, come convitti e residenze universitarie. Eppure mai prima d’ora, come avvenuto nei giorni passati in merito al Ddl Zan, la proposta di legge già approvata alla Camera e che deve essere discussa in Senato, primo firmatario un deputato del Partito Democratico, Alessandro Zan, volta alla lotta contro le discriminazioni e le violenze di natura sessuale e di genere, questo documento era stato chiamato in causa dalle alte schiere ecclesiali e vaticane per entrare a gamba tesa in una discussione che da diverse settimane sta spaccando il Paese tra favorevoli e contrari, al solito, facendo registrare a nostro avviso un’indebita ingerenza che si configura, linguaggio tecnico e giuridico a parte, come una vera invasione di campo, intollerabile, volta presumibilmente a condizionare il dibattito insistente tra l’opinione pubblica e a condizionare le scelte delle forze politiche che compongono l’arco costituzionale. È avvenuto, infatti, che, citando il Concordato, la Segreteria di Stato Vaticana, per conto e firma del responsabile per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher, sia intervenuta nella polemica e sui temi dalla stessa sollevati grazie alla proposizione del menzionato Disegno di legge, temendo, secondo l’interpretazione neppure tanto dietrologica e, probabilmente, più che fondata di alcuni commentatori, che le posizioni radicalmente ed esplicitamente omofobe espresse da taluni sacerdoti o membri della Chiesa cattolica, se manifestate pubblicamente, possano essere perseguite come reato, eventualità auspicabile e legittima secondo la nostra redazione, proprio in seguito all’entrata in vigore della legge ed in base a quanto prescritto e compendiato dal disposto normativo. Nella lettera vergata Oltre Tevere e consegnata ai funzionari dell’Ambasciata d’Italia in Vaticano, peraltro accolta in maniera piccata, almeno formalmente ed a favore di microfoni e telecamere, dal presidente del Consiglio dei ministri in carica, Mario Draghi, si chiede alle autorità ed al Parlamento sovrano del nostro Paese di “trovare una diversa modulazione del testo normativo in base agli accordi che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione. Al riguardo – si legge nella missiva che il Vaticano ha inviato al Governo italiano – la Segreteria di Stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa, particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario. Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi – azzarda Gallagher concludendo e spingendosi fino a scomodare Mosè, il Vecchio Testamento e l’insegnamento evangelico dei primi pontefici di Roma senza temere di essere inopportuno – che considerano la differenza sessuale secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibili perché derivata (la sacra Scrittura immaginiamo, vista la concordanza delle desinenze) dalla stessa Rivelazione divina – con punteggiatura e virgole messe un po’ a caso, sinonimo di una padronanza quantomeno approssimativa della nostra Lingua e che ci siamo premurati, osando, di correggere noi , considerato che non avevano evidentemente provveduto in tal senso, altresì, in questo caso, né lo Spirito Santo e neppure la Divina Provvidenza, sic! Uno dei punti dirimenti presi a pretesto dalla nota vaticana sarebbe l’istituenda giornata di formazione ed educazione sessuale ed al rispetto dei diritti di ciascuna e ciascuno da tenere annualmente nelle scuole sotto la supervisione di dirigenti scolastici e consigli di istituto con l’avallo dei genitori, ma, ovviamente, l’oggetto del contendere è di più ampia portata e va ben oltre il casus belli appena citato. In gioco sembra esserci la supremazia che la Chiesa da sempre e maggiormente in Italia si arroga di legittimare come assoluta, ritenendo infallibile e giusta la propria visione del mondo, la propria percezione delle sensibilità e delle propensioni più intime dell’umanità credente e non, entrambe distorte e distorcenti secondo quest’analisi che qui abbozziamo perché incapaci di tenere conto di un universo già profondamente mutato e, ci sentiamo in dovere di aggiungere, di tutti i colori, ognuno a suo modo bello, importante, dignitoso ed irrinunciabile, dell’arcobaleno. Quello della bandiera così denominata che pure ha sventolato in cortei pacifici e vivaci nelle piazze di tante città italiane lo scorso sabato 26 giugno, quando, sfidando il caldo torrido di queste ore di prima estate e nel rispetto dei divieti imposti dall’emergenza da coronavirus ancora vigenti, decine di migliaia di manifestanti, etero, omo, bisessuali o transgender si sono dati appuntamento per affermare in modo perentorio che nessuna dottrina, rivelata o no, può giustificare la discriminazione di una persona o di un peculiare atteggiamento, orientamento o modo di intendere l’amore e di relazionarsi in pieno rispetto dell’altrui sentire con chicchessia. Ribadendo con orgoglio che, proprio in quanto e perché tutte e tutti irriducibilmente diversi e singolari, “da vicino nessuno è normale”, dovremmo ciò nondimeno aver garantiti gli stessi diritti ad esprimere pienamente la nostra personalità, da sviluppare e valorizzare, secondo il senso intrinseco ed originario di quella Carta Costituzionale richiamata irrispettosamente e a sproposito da monsignor Gallagher. E, c’era da aspettarselo e non poteva essere altrimenti, mentre ad Istanbul, nella Turchia di quell’Erdoğan che relega le donne sul divano quando parlano gli uomini che portano i pantaloni, sebbene in tailleur, il “Pride” è stato duramente represso dalla polizia con botte, manganellate e decine di arresti indiscriminati, e mentre nell’Ungheria di Orbán, faro ispiratore della visionaria leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, è stata approvata di recente una legge liberticida ed inammissibile nel consesso europeo che viola palesemente i diritti di cittadinanza degli omosessuali scatenando un fiotto di rimostranze sostanzialmente di maniera a politicamente strumentali a Bruxelles, qui da noi la nota vaticana è servita da spunto per riaccendere animoso lo scontro ideologico tra partiti di differente ispirazione, con Enrico Letta, segretario del PD, che vuole portare immediatamente il Ddl Zan a Palazzo Madama al vaglio dei senatori, quello della Lega, Matteo Salvini, che fa buon viso a cattivo gioco dichiarando di volerlo rimodulare ma, di fatto, con l’intenzione di affossarlo per sempre e la stessa Meloni, la cui storia deriva da coloro che si macchiarono delle discriminazioni razziali a danno degli Ebrei italiani, che parla, e con quale coraggio, di legge liberticida ammiccando, in fase di ascesa spropositata nelle percentuali attribuitele dai sondaggi, all’elettorato cattolico ed alle frange più retrograde ed omofobe di quello conservatore in cui affonda a piene mani e consapevolmente. Al cospetto del silenzio imbarazzato ed imbarazzante del Movimento Cinquestelle, che dilaniato da lotte fratricide ed intestine si è guardato bene dal prendere pubblicamente una posizione ufficiale, ed a fronte delle esternazioni del Segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, che con fare farisaico ha rivendicato il diritto della Chiesa di esprimersi sull’argomento oggetto di contesa, facendo addirittura risalire la volontà a papa Francesco, che della nota di Gallagher sarebbe stato opportunamente, doverosamente e puntualmente informato, concedendo d’altro canto la scontata sovranità formale alle istituzioni romane, ha risuonato forte l’appello accorato di un manifestante del “Pride”, che si è autodefinito cattolico e gay, il quale ha affermato che la sua posizione e quella di molte e molti altri come lui viene semplicemente ignorata ed è destinata a rimanere senza voce, tra gli ultimi e gli esclusi per cui questo giornale, sin dalla sua nascita, si sforza di essere ad un tempo megafono e compagno di viaggio e di lotta. Secondo un altro dimostrante, che portava con sé un vistoso cartello, Dio sarebbe queer: termine generico preso in prestito dall’Inglese ed utilizzato per indicare coloro che non sono né eterosessuali né cisgender, cioè quelle e quelli la cui identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico. Come dargli torto, se, spogliato delle fattezze umane di vecchio con barba bianca sul modello di uno ieratico Babbo Natale della Coca Cola che gli ha dato la tradizione dalla Scolastica di Sant’Agostino in poi e buone solo da cartone animato o per le lezioni alle bambine e ai bambini del catechismo da prima Comunione, lo immaginassimo, secondo l’interpretazione ascetica forse macchiata da piglio massonico, a forma di triangolo onnisciente, spirito purissimo ed asessuato come un angelo o putto da presepe, magari biondissima/o come nelle pubblicità di una nota marca di cioccolato. Che sia uomo incarnato o afflato naturale e panteistico, non pare a noi comuni mortali dato saperlo o, perlomeno, poterlo affermare e dimostrare con certezza, con buona pace di una messianica professione di fede, sulla scorta degli insegnamenti e delle encicliche di Bergoglio ci piacerebbe pensare a un Dio che accoglie, che abbraccia, che include e che non punta il dito, che non giudica ma comprende, o si sforza di farlo, se è questo il significato più profondo del divino e del sacro che alberga e dimora nell’animo umano delle donne e degli uomini di ogni credo. E, riprendendo la dicitura esplicitata nelle prime righe di questo editoriale e chiosando con l’amara ironia che ci contraddistingue nel piglio satirico e che caratterizza il pezzo, ci permettiamo di scrivere che la formula di libera Chiesa in libero Stato non sia tuttora realizzata alle nostre latitudini e che avrà luogo compiutamente, forse, un giorno, nell’Iran oscurantista dell’Ayatollah Khomeini.