Per aspera ad AstraZeneca
FABIO FALABELLALa battaglia globale per l’immunizzazione e la lotta tra poveri dei furbetti del vaccino in Italia
Nella battaglia geopolitica che si sta combattendo sui vaccini contro il Covid 19, a livello globale, la vergogna più grande ed al tempo stesso insopportabile resta sicuramente la corsa ai brevetti da parte delle aziende multinazionali del Big Pharma, con la proposta di concedere le licenze ai Paesi poveri respinta in seno alla WTO e la sfida per l’immunizzazione equa del Sud del mondo ferma al palo, rimasta carta straccia, grazie alla sponda interessata fornita ai grandi colossi dell’industria farmaceutica mondiale dai Paesi ricchi del Nord del globo, Stati Uniti di Joe Biden in testa. Proprio questa settimana, infatti, dalla riunione straordinaria dell’Organizzazione mondiale del commercio è arrivato un secco “no” all’intesa, da più parti evocata, per la produzione di vaccini contro il coronavirus nelle regioni del mondo a più basso reddito pro-capite e nazionale, dove, per mancanza di know how, mezzi e risorse, le campagne vaccinali faticano a partire e a raggiungere risultati efficaci e soddisfacenti. Una scelta, questa, che restituisce perfettamente la cecità del dio mercato, dove conta solo il profitto, più volte additata da papa Francesco come una ignominia dell’umanità, da combattere strenuamente, e che rischia del resto paradossalmente di ritorcersi contro gli stessi fautori di questa decisione, se dai Paesi meno sviluppati dovessero provenire in un futuro prossimo o remoto varianti nuove e più pericolose, come accaduto per quelle classificate con le diciture di brasiliana e sudafricana e, nelle ultime ore, filippina. Ciò in barba a tutti i proclami, più volte ascoltati nei mesi scorsi e ripetuti a menadito anche dal nostro ministro della salute Roberto Speranza, sulla necessità di garantire a tutti la possibilità di vaccinarsi, sulla stregua del diritto universale alla cura riconosciuto peraltro dalla nostra Carta Costituzionale e da tutte le dichiarazioni internazionali che si occupano dell’argomento. Scrive Paolo Alfieri su Avvenire di venerdì 12 marzo che «Se Stati Uniti, Canada, UE ed altri Paesi ricchi – Israele, ndr – hanno già vaccinato milioni di persone, la grande maggioranza di quelli poveri potrebbe impiegare fino a tre anni per raggiungere l’immunità di gregge. Per queste ragioni, India e Sud Africa, nell’ambito delle discussioni del Consiglio per il Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (Trips, il panel che regola le negoziazioni in ambito di tutela della proprietà intellettuale) tenutosi a Ginevra, hanno avanzato una iniziativa sostenuta da oltre 100 Stati tra i Paesi – malamente definiti – in via di sviluppo per una sospensione temporanea dei brevetti, che però è stata già bloccata», bocciata e respinta al mittente, con la ragione addotta strumentalmente che gli stessi sarebbero un importante incentivo all’innovazione. «Se ne riparlerà a maggio – continua Alfieri, sebbene – la delegazione indiana abbia sottolineato che i Paesi che si stanno opponendo agli emendamenti del Trips siano – in buona sostanza – gli stessi che – con accordi bilaterali – si sono già assicurati il maggior numero di dosi di vaccino», tra quelle disponibili e prodotte dalle diverse aziende impegnate in questa corsa al farmaco che garantirebbe l’elisir di lunga vita, magari senza mascherine e dispositivi di protezione individuale che, nostro malgrado, abbiamo imparato a conoscere e ad indossare. «Secondo fonti sudafricane, peraltro – chiosa infine il redattore dell’articolo menzionato, 31 tra le maggiori aziende farmaceutiche del mondo avrebbero inviato una lettera proprio al presidente degli USA chiedendogli di continuare ad opporsi alle richieste di India e Sudafrica. Un comportamento, questo – secondo i negoziatori di Delhi – che starebbe ostacolando un programma mondiale coordinato di immunizzazione», nonostante gli auspici del Pontefice di Roma, il quale, più volte, ha esternato sulla necessità improrogabile, irrimediabile e cogente, di rendere disponibile il vaccino in maniera equa. Va considerato, inoltre, che «l’attuale scarsità di vaccini è dovuta alla limitata capacità di produzione a livello globale, che trova la sua origine nel sistema di monopoli con cui operano le case farmaceutiche, che, al momento, con brevetti esclusivi, non condividono le tecnologie» di cui sono in possesso. Intanto, mentre l’Africa ha ricevuto per adesso solo lo 0,2% delle circa 300 milioni di dosi di vaccino somministrate, e mentre si moltiplicano gli appelli delle Ong, quali Oxfam ed Emergency di Gino Strada, che invocano la fine, o almeno l’attenuazione sostenibile delle disuguaglianze su scala planetaria, alcune autorevoli personalità, ricorda ancora sulle pagine del quotidiano dei vescovi italiani, in una missiva indirizzata al direttore, il presidente nazionale del Movimento scout adulti (Masci), Massimiliano Costa, tra cui Rosy Bindi, Nicoletta Dentico e Silvio Garattini, sottolineando che, «Oggi, l’Europa ha la possibilità di bloccare il virus dell’individualismo radicale e impedire che la legge del mercato e dei brevetti abbia la precedenza sulla salute dell’umanità, hanno chiesto al nostro Governo di far sentire – e farsi ascoltare – alle Istituzioni europee, ed in particolare alla Commissione UE – guidata da Ursula von der Leyen – l’urgenza e la necessità di derogare alle regole vigenti in materia di proprietà intellettuale per consentire la più ampia diffusione dei vaccini e degli altri presìdi sanitari indispensabili per il contrasto alla diffusione del virus Sars-CoV-2». Secondo Costa, vanno ripensate «in tempi repentini le rigide regole macroeconomiche che per decenni hanno contraddistinto il duro rapporto dialettico tra istituzioni europee, stati del nord e stati del sud del continente», perché se è vero che «la libera e responsabile iniziativa in campo economico può essere definita come atto che rivela l’umanità dell’uomo in quanto soggetto creativo e relazionale», secondo il Magistero della Chiesa è altrettanto innegabile ed evidente che «il diritto di proprietà e la libertà di impresa sono chiaramente funzionali alla realizzazione di valori ben più alti del lecito profitto, perché i beni, anche se legittimamente posseduti, mantengono sempre una destinazione universale» ed è perciò necessario che l’iniziativa economica dell’impresa, che «si manifesta nell’attitudine progettuale ed innovativa, si caratterizzi per la capacità di servire il bene comune della società mediante la produzione di beni e servizi utili» e fungibili, aggiungiamo noi. Del resto, spiega Costa evocando esplicitamente la condivisione o persino l’espropriazione dei vaccini e delle cure anti-Covid, utilizzando un termine vetero-marxista caro agli antagonisti degli anni Settanta, «oltre alla funzione tipicamente economica, l’impresa svolge anche una funzione sociale e la dimensione economica è la condizione per il raggiungimento di obiettivi sociali e morali da perseguire congiuntamente». A sostegno della sua tesi, il presidente del Masci cita l’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco, che descrive il progresso come spinta finalizzata al superamento della miseria, quale scopo primario e «precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e al diritto di tutti al loro uso». E senza negare alle multinazionali del farmaco la possibilità di «conseguire un giusto profitto dalle loro ricerche», contemperata con «l’utilità sociale di esse», ed auspicando a tal fine la condivisione dei brevetti, ricorda che, all’articolo 17, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea «ammette che la proprietà privata – e, dunque, anche quella di natura intellettuale – possa essere espropriata per ragioni di interesse generale», immaginando una società occidentale che ecceda, termine che ci piace tanto utilizzare, la logica del puro profitto per cui la cura dei deboli è ancora relegata agli aiuti e ai sussidi piuttosto che alla garanzia ed all’implementazione dei diritti inalienabili e disponibili per ciascuno. Dal canto loro, Cina e Russia non hanno alcuna intenzione di sottrarsi alla competizione stringente, che oserei definire quasi una sorta di “struggle for life”, come dimostra l’arrembaggio di entrambe per riempire il mondo “sottosviluppato” di vaccini prodotti in casa, come lo Sputnik, che presto arriverà anche in Italia grazie agli accordi firmati con l’Ema e con la nostra Agenzia nazionale del farmaco. Appare verosimile che, tra le grandi Potenze mondiali, colei che uscirà vincitrice da questa vera e propria guerra sanitaria e commerciale si accrediterà nel consesso delle Nazioni come quella capace di guidare le sorti del pianeta, legittimata a ricoprire un, o il, ruolo di leader anche in altri settori, a cominciare da quello finanziario e militare, traendone, in chiave economica e geopolitica, enormi benefici per la sua popolazione ed i suoi apparati di potere. Alle nostre latitudini, invece, connaturati e contraddistinti come siamo da un provincialismo arrivista e qualunquista, declinato in quest’epoca come quello dei furbetti del vaccino, non sono mancati scandali di minore portata ma altrettanto riprovevoli di quello sopra descritto, meritevoli di essere messi a pubblico ludibrio e capaci di suscitare sensazioni e manifestazioni di sdegno e di disgusto in chi ha a cuore la collettività, la tutela dei diritti, soprattutto dei più deboli ed emarginati, e il rispetto delle regole. Passandoli velocemente in rassegna, andrebbero sottolineati i tentativi maldestri ma spesso riusciti di importazione illecita di mascherine e dpi nella prima fase acuta della pandemia che ha attraversato l’Italia e quelli parimenti azzardati, durante la seconda e la terza ondata, di alcune Regioni di accedere al mercato parallelo dei vaccini pagando un indebito surplus, alla luce degli accordi siglati in ambito continentale ed europeo, a mediatori d’assalto e broker senza scrupoli, pronti a lucrare sulla crisi economica e sociale, sul dolore e la disperazione di migliaia di persone. «Quel mercato parallelo incivile e solo per ricchi», chiosa Ferdinando Camon, in cui paradisi fiscali come «Dubai e Abu Dhabi offrono dosi di vaccino ai ricchi e ai potenti di mezzo mondo, basta che abbiano relazioni di alto livello e siano in grado di farsi invitare in qualcuno degli Emirati Arabi Uniti per farsi vaccinare senza dover aspettare nella madrepatria e mettersi in fila. Sui vaccini si scatena una lotta, si fanno contratti che poi non vengono rispettati – si vedano in proposito i casi delle mancate forniture delle dosi promesse da parte di Pfizer-Biontech prima e Oxford-AstraZeneca poi – si promettono forniture che poi non vengono inviate», aggiunge Camon dalle colonne dell’Avvenire, con il «mercato parallelo che fiorisce intorno alla compravendita dei vaccini, il turismo sanitario, l’alloggio in alberghi costosi, il pagamento – extra e contra legem – di personale medico ed infermieristico e, quindi, la divisione dei clienti pazienti in chi può e chi non può. Un principio marxiano: tutto è oro, tutto – diventa – questione di quanto puoi spendere. Il successo in carriera, la promozione in gara, la vittoria in tribunale, la salute in ospedale, l’amore di una donna – o di un uomo – tutto ha un prezzo. A chi ha, sarà dato». Fatta la debita e doverosa eccezione per Cuba, che sul punto in questione e nel solco della tradizione della rivoluzione socialista di Castro e Guevara si pone, come di consueto, in una prospettiva completamente ribaltata producendo in proprio ed offrendo a basso costo il vaccino (che sarà presto disponibile) ai Paesi poverissimi dell’America Latina – tutti ricordiamo i medici cubani sbarcati sulle nostre sponde per dare una mano ai loro colleghi italiani ed andar via a missione compiuta cantando “Bella ciao”, opera encomiabile ed immagine da brividi comunque la si pensi politicamente – va ribadito che qui da noi, non ve n’erano dubbi, si sono registrati a man bassa persino episodi di salto a piè pari di file, turni e prenotazioni, con buona pace della dignità impeccabile manifestata in tal senso dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche tra esponenti delle istituzioni, a cominciare dal governatore della Campania Vincenzo De Luca, seguito a ruota da una schiera improbabile di sindaci ed amministratori locali (e dalle più disparate categorie e corporazioni, dagli avvocati ai giornalisti, ma anche i tassisti scalpitano..) che nemmeno l’armata Brancaleone resa celebre da Vittorio Gassman. In piena terza ondata di picchi di casi di infetti e ricoveri nelle terapie intensive dei nosocomi, con lo Stivale tinto di rosso lugubre che non può che richiamare alla mente il sangue versato invano, per certi aspetti, da più di centomila vittime ormai, che nemmeno due guerre mondiali hanno potuto tanto, la situazione italiana non pare al momento volgere al meglio, nonostante la chiamata alle armi del neo presidente del Consiglio Mario Draghi ed i superpoteri strabilianti di cui questi, a detta di molti, troppi, sarebbe capace. Enorme la differenza evidenziata tra regione e regione nella campagna di immunizzazione, con tassi che variano da Bari a Milano senza una possibile spiegazione apparente che non sia additabile alla congenita disorganizzazione ed improvvisazione italica ed al malfunzionamento della nostra macchina amministrativa, con la Basilicata – da cui provengo – in balìa delle bizze e dei capricci della giunta del presidente Vito Bardi e dell’assessore alla sanità Rocco Leone ed il Veneto – dove vivo attualmente – contrassegnato da uno spaventoso tasso di contagi mentre il governatore Zaia, in conferenza stampa, indicando le categorie che avranno la precedenza di qui in poi nelle sessioni di vaccinazione, confonde improvvidamente i care giver (dall’Inglese, prestatori di cure) con i car giver (che dovrebbero essere verosimilmente, e nella sua personalissima interpretazione, coloro che prestano o affittano automobili, tipo le filiali della Hertz, “rent a car”, presenti agli ingressi e nelle hall degli aeroporti, sic!). Come se tutto ciò non bastasse, col ricordo che torna in mente delle scene tragiche dei camion militari a Bergamo per il trasporto delle salme e dei malati contagiati ed abbandonati in decine di case di cura, con alcuni Paesi europei, Austri in testa, che lamentano la distribuzione ineguale dei vaccini nel Vecchio Continente, è di queste ore la notizia di presunti e possibili casi di effetti collaterali drammatici e in alcuni frangenti letali provocati dal siero messo a punto dall’azienda anglo-svedese AstraZeneca, che provocherebbero in taluni pazienti trombosi fulminanti, come sarebbe avvenuto per il sottoufficiale della marina Stefano Paternò, morto lunedì mattina dopo aver ricevuto un’iniezione che gli sarebbe stata fatale, letale (per la stessa causa sarebbe deceduto proprio oggi un docente di Biella). Episodio, non unico in realtà, che, al netto delle rassicurazioni fornite da eminenti scienziati e famosi virologi, che sostengono che nessuna maggiora incidenza di questi fenomeni si verifica tra le popolazioni vaccinate rispetto a quelle non vaccinate, non ha impedito da noi il blocco da parte delle autorità del lotto incriminato e considerato pericoloso, su cui si stanno svolgendo verifiche ed accertamenti, e altrove, in Danimarca, Norvegia e Islanda, l’interruzione tout court della somministrazione del vaccino in doppia dose di AstraZeneca alla popolazione, aumentando il clima incertezza e di paura, di scoramento sulla capacità di uscire finalmente dall’incubo, da un tunnel che pare ancora senza fine. “Colpi di qua, colpi di la”, recitava l’adagio della sigla iniziale di un bellissimo cartone animato ambientato in Francia che andava sulle tv commerciali quando ero ragazzo, con chi combatte, chi specula e chi tentenna mentre “la gente si batte” con i mezzi che ha per salvare la pelle in questa competizione per la salvezza. E chissà se il desiderio di Bergoglio, reso pubblico esattamente un anno fa nel corso delle celebrazioni pasquali, nel silenzio assordante di una giornata piovosa in una piazza San Pietro tristemente vuota e desolata, che si esca migliori da questa tragedia, che si impari dagli errori commessi per superare la crisi ed evitarne altre di peggiori, possa un giorno prossimo o venturo divenire davvero realtà. Quel che è certo è che il cammino dalle asperità contingenti ed immanenti alle stelle luminose di una futura rinascita, “per aspera ad astra”, è lungo, tortuoso, irto di ostacoli e segnato dalle ingiustizie che minano la strada come pietre miliari, o di inciampo. Non è andato affatto tutto bene finora: resta la speranza, banditi i facili giochi di parole sul cognome dell’uomo al vertice del Ministero che ha sede sul Lungotevere, che almeno vada meglio dopo, senza rinchiudersi nell’auspicio egocentrico ed egoistico che porta ognuno di noi a pensare “Io speriamo che me la cavo”.