Riders on the storm. Quando lo Stato reprime senza prevenire
MANUELA GIULIANOL’aggressione di Napoli e la solitudine dei rapinatori
È appena l’alba di un nuovo anno. E’ una notte di vento e tempesta a Napoli. Sono passati pochi giorni dalla mareggiata che si è abbattuta sul lungomare della città, ma di (a)mareggiata ne sta arrivando un’altra.
Quella della miseria, dell’annichilimento, della non alternativa.
A Calata Capodichino, nella zona nord di Napoli, tra il primo e il 2 gennaio si incrociano i due volti opposti della città.
Gianni, 50 anni, disoccupato da sei, porta il pane a casa non tirandosi indietro davanti a nulla. Basta che sia sempre e soltanto qualcosa di onesto. Salta sul suo scooter anche se piove a dirotto e va a consegnare cibo a domicilio.
Dall’altro lato ci sono sei ragazzi, giovanissimi. La maggior parte di loro non ha neanche compiuto 18 anni. Anche loro non si fermano davanti alla pioggia e anche loro saltano in sella ai loro scooter.
Ma l’obiettivo è diverso. Niente scuola, niente lavoro. I soldi si fanno con le rapine.
Incrociano Gianni e vogliono il suo motorino.
La storia è nota a tutti. Diventa in un attimo anche la nostra. Un residente della zona filma tutto e quel video fa il giro del web e dei social network, diventando virale.
Una scena orrenda, sconsigliata ad un pubblico sensibile. La stessa che si ripete – nel silenzio generale – ogni giorno nelle città italiane. Napoli, nel 2019, è stata la prima città d’Italia per denunce di rapine: 3900 in tutto, più di 10 al giorno. Seguono a ruota Milano, Roma e Torino.
Questa rapina per fortuna è diventata “famosa”, è finita sotto gli occhi di tutti. Calci, pugni, minacce, offese.
Non cadiamo nell’errore di soffermiamoci sulla telecamera sempre accesa su Napoli e sul Sud. Lo sappiamo tutti che queste cose accadono anche altrove.
Quello che deve interessarci e anche indignarci è che dopo quella telecamera accesa, non cambi mai nulla.
Questa è l’occasione per andare oltre Gianni e i sei ragazzi destinati ad una morte giovane, al carcere, all’abbrutimento. Perché seppure sembri assurdo, tra di loro ci poteva essere un’artista, un bravo operaio, un giornalista o semplicemente una persona onesta e perbene.
E, invece, sono sei ragazzi in manette.
Ci siamo chiesti cosa ci facessero dei minorenni in una banda del genere, allo sbando totale, senza più scuola e senza forse dei servizi sociali che li seguissero?
Quello che dobbiamo chiederci, dopo la rabbia, è se sul nostro territorio esistano progetti che partono dalle persone e dalle loro esigenze. Se vengono costruiti intorno a delle necessità dei programmi per produrre conoscenza, cultura, lavoro, dignità, autonomia e sviluppo.
In territori come quelli di Scampia, da cui forse provengono gli indagati, ci sono luoghi dove le cooperative, le associazioni e le scuole provano ogni giorno a restituire il diritto alla dignità a chi l’ha perso o non lo ha mai avuto.
Qui c’è il più alto numero di associazioni e di enti del terzo settore che in qualunque altra area di Napoli. Ma non c’è un progetto da parte delle istituzioni pur contando centomila abitanti e il numero più alto di giovani dell’area metropolitana.
Gli ultimi, i disagiati, con gli strumenti giusti e con un lavoro di collaborazione tra istituzioni, scuola e cooperative possono restituire soprattutto ai ragazzi un’opportunità.
Fino a quando per le istituzioni la scuola e gli enti sociali non torneranno ad essere centrali per lo sviluppo del Mezzogiorno, i bambini continueranno ad essere manovalanza della criminalità.
Lo Stato non deve solo reprimere ma prevenire. E nulla previene meglio di una scuola presente e attiva sul territorio e di associazioni e cooperative sostenute dall’alto e che possano lavorare su progetti diversi e trasversali.
Vanno create delle opportunità e delle occasioni per le fasce disagiate, altrimenti ci saranno sempre sei balordi in giro a fare del male ad una persona perbene come Gianni.
Gianni è la vera eccezione di questa storia. Anche lui lo Stato lo ha abbandonato. Non è riuscito a garantirgli un lavoro, mettendolo per strada a 50 anni su uno scooter a portare pizze e sushi nelle case di chi se la passa meglio.
Anche lui poteva prendere la strada sbagliata e non l’ha fatto.
Quello che sembra impossibile, con l’aiuto e la collaborazione di tutti gli attori sociali può diventare realtà.
Si deve passare a sinergie importanti, ci sono operatori e insegnanti che aspettano di poter lavorare su questi territori con le spalle protette, le risorse giuste e la speranza di potercela fare anche con autonomia nelle azioni.
Fate presto, perché è già molto tardi.